Insegnando si impara

Archive for marzo 2012

Parafrasando un dialogo di un vecchio film, potrei dire: “Veramente io sono un’insegnate italiana, il mio nome è Pastore. Ileana Pastore.” “Già e io sono Superman. E lei è sempre in arresto”.

Ho scelto questo mestiere tanti anni fa e ancora non me ne sono pentita. A volte sono stanca, a volte un po’ frustrata dalle continue “riforme” che distruggono la scuola, a volte un po’ arrabbiata nei confronti di chi presenta gli insegnanti della scuola pubblica come fannulloni, ma in fondo, quando mi alzo la mattina e so che vado a scuola, sono contenta. Devo dire però che, negli ultimi anni, ho dovuto tenere veramente i nervi saldi. Da molte autorevoli indagini emerge, sempre più frequentemente, che gli insegnanti si sentono isolati e accerchiati. I maggiori problemi evidenziati sono: difficoltà nel far rispettare la disciplina, scarso interesse degli studenti per la scuola e scarso valore attribuito dalle famiglie al successo scolastico. La cosa non mi stupisce affatto.

Agli insegnanti oggi viene chiesto di essere tante cose: docenti, quindi esperti nelle loro materie; educatori, quindi capaci di trasmettere dei valori; un po’ psicologi e quindi empatici nei confronti degli alunni, attenti ai loro problemi dell’infanzia, della preadolescenza e dell’adolescenza; entusiasti e carismatici, quindi un po’ intrattenitori e animatori; esperti di nuove tecnologie, quindi in grado di usare computer, Lim (lavagne interattive multimediali) e altre diavolerie.
Non solo: ci vogliono anche coinvolgenti. Potremmo dire che la scuola vorrebbe farci diventare degli insegnanti coach.
Ormai si è diffusa la convinzione che l’insegnante deve “motivare” il ragazzo allo studio. Cioè, vorrei capire meglio. Uno studente è tale per definizione, cioè perché la sua principale occupazione è, o dovrebbe essere, quella di studiare. Perché un insegnante dovrebbe convincere i suoi alunni a studiare? Non è insito nella loro condizione di studente?
Perché mai un professore dovrebbe convincere un alunno a fare quello per cui viene a scuola? Come se un medico dovesse pregare un paziente di farsi curare, o un dentista implorare un paziente di farsi togliere una carie. È noto a tutti che psicologi e psichiatri non prendono in cura pazienti che non credono nella terapia e non sono disposti a collaborare, ne va della loro dignità professionale…

Io ci provo a rendere interessanti le mie lezioni, a comunicare la passione per le mie materie, provo a semplificare i concetti più difficili o a creare agganci con le altre discipline e cerco di correggere i loro errori. Però ancora non posso studiare al posto dei miei alunni né posso, di pomeriggio, andare nella cameretta di ognuno di loro e piazzarmi come un gufo sulla spalla per controllare che studino. Il lavoro grosso lo devono fare loro, a casa.

Purtroppo, ormai, l’idea dominante è la seguente: è colpa del professore. Sempre. Perché non ha spiegato bene, oppure pretende troppo, o è troppo severo nei voti, o è troppo burbero e mette in soggezione i ragazzi, o…
Insomma, il brutto voto ormai non è un fallimento dell’alunno, ma è un fallimento dell’insegnante. L’insegnante coach fallisce, se non coinvolge e non motiva gli alunni che gli sono affidati e non riesce a far loro ottenere buoni voti.

Bene, allora propongo questo: se devo essere un coach voglio scegliermi gli alunni, proprio come gli allenatori decidono se allenare una ragazzina che promette di diventare una nuova Federica Pellegrini o un ragazzino che potrebbe essere un nuovo Federer.
Posso scegliere? Non più classi di 25 o più alunni, non più alunni fannulloni o poco intelligenti. Non più alunni disabili, extracomunitari, problematici. Non più alunni che passano il pomeriggio al computer, senza essere mai controllati dai genitori. Io voglio solo alunni intelligenti, educati, simpatici, volonterosi, docili e entusiasti, senza il cellulare sempre acceso, pronti come Alfieri a legarsi alla sedia per studiare giorno e notte.

Così riuscirebbe a tutti vero?

Non li avevo più rivisti da almeno cinque anni quando, uscendo dalla sala docenti, me li sono trovati davanti.

“O Profe! Come sta?”

Cresciuti, ben vestiti con i mocassini ai piedi, senza più le scarpe da ginnastica; giacca, cravatta, barba e capelli in ordine, pantaloni con le pieghe e non più “a bracaloni” con la cintura che arriva sotto le natiche, insomma, belli! Sorridenti e garbati mi hanno raccontato cosa fanno e dove la vita li ha condotti dopo qualche vicissitudine. Confidenziali e gentili hanno ricordato i tempi andati con tutta la nostalgia necessaria. Mi hanno fatto una gran festa e sono stata proprio contenta di rivederli. Cosa c’è di strano chiederete voi? Niente se non che un collega, assistendo alla scena, mi ha chiesto:

“Che carini! Sono tuoi ex alunni?”

“No, non lo sono mai stati; quando facevano la terza ho fatto loro, una volta, un’ora di supplenza.”

Esterrefatto mi guarda ed esclama: “Te devi essere una “tremenda”! Che gli hai fatto per farti ricordare così?”

“Abbiamo giocato per tutto il tempo a Dangerous and Dragons!” 😉

 

E’ bellissimo, molto meglio dell’originale! Grazie, sono felicissima!

 

Ogni ritratto dipinto con passione è il ritratto dell’artista, e non del modello. [O.Wilde]

 

In un momento di estrema confidenza…

“Profe, lo sa che sul suo conto se ne sentono davvero tante?”

“Eh! Me lo immagino”

“Per carità, voci di corridoio… “

“Sentiamo, sono curiosa. Continua pure, sono pronta al peggio”

“Prima di averla come insegnante, avevo sentito dire che era molto severa, che pretendeva molto, sia nei compiti che nelle interrogazioni. Tutti dicono che è brava a spiegare, più brava del Vicepreside tanto che, quest’anno, qualcuno di terza, ha detto che avrebbe preferito avere lei al suo posto. E’ risaputo che durante le sue ore ci si diverte anche ma è sconcertante prendere atto che non regala neanche mezzo voto e che, con lei, per avere la sufficienza, bisogna sudarsela.”

“Tutto vero. E’ proprio quello che vorrei si pensasse di me. Ma nessuno dice che metto anche i dieci?”

“No, quel numero viene puntualmente dimenticato ma, citando testuali parole, sentite proprio con le mie orecchie… “E’ una Prof. in gamba, si ricorda di tutti i suoi alunni, anche di quelli che non ha mai avuto, sa i nomi di ognuno e li impara subito, ci conosce anche se non siamo mai stati in classe sua e questa è una grande dote”. Vede Profe, noi così ci sentiamo protagonisti, non ci sentiamo uno dei tanti alunni, un numero sul registro, ma una persona, un singolo individuo.”

“Sono contenta, sono tutte belle cose quelle che mi dici.”

“Aspetti, aspetti, ora le dico quelle poco piacevoli: c’è chi è convinto che lei faccia molte preferenze, che lei e la Prof. d’inglese vi sosteniate sempre a vicenda, qualunque sia la discussione, difendendovi sempre e facendo muro compatto contro gli alunni…”

“Forse ho qualche preferenza ma professionalmente non ne ho, e nel trattamento scolastico faccio di tutto per garantire l’imparzialità. Umanamente provo emozioni e sentimenti, mi faccio coinvolgere e travolgere. Di conseguenza, penso, stimo, scelgo e, quindi, preferisco. Per quanto riguarda la Prof. d’inglese, beh, oltre ad essere colleghe siamo anche amiche quindi non potrebbe essere altrimenti.”

“Infatti, mi stupirei del contrario. Tutto sommato Profe, le voci di corridoio non sono troppo negative no? Lei non è catalogata né tra i professori pazzi né tra quelli da cestinare.”

“Sì sono molto contenta di tutto quello che ho sentito, ero pronta al peggio ma… il Paradosso di Potter afferma che: una voce di corridoio non acquista credibilità finché non viene ufficialmente negata. Me lo spieghi adesso come faccio visto che è tutto vero?”



"Profe, ma un blog lei, quando lo apre?"
E allora, eccolo!
Qui si racconta cosa succede nelle mie classi, come il tutto venga vissuto da me, dai miei alunni e dai miei colleghi.
Non credo affatto che la "scuola vera" sia solo quella che sprezzantemente occupa le prime pagine dei giornali con alunni somari e maleducati, con insegnanti depressi e fannulloni, non è questa la verità! Voglio raccontare la mia.
Buona lettura a tutti.

CARPE DIEM

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