Insegnando si impara

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I ragazzi, si sa, amano gli eccessi, il rischio, l’intraprendenza, le sfide; pensano di essere onnipotenti, hanno la sensazione di avere il mondo nelle proprie mani, si sentono invulnerabili.

Il primo motorino, la prima automobile equivalgono a traguardi importanti per iniziare il cammino verso l’indipendenza e contemporaneamente percepirsi simili ai propri coetanei.

E’ difficile “gestire” la loro tendenza agli eccessi.

La percezione del rischio nei giovani varia a seconda della sovrastima delle proprie capacità, del sentirsi inattaccabili dal destino. Del resto quale ragazzo non si sente un po’ un “eroe” con il bisogno di stupire e di stupirsi?

Per questo il suo quotidiano si nutre del rischio, dell’avversario contro cui competere e della platea che riconosca la sua vittoria. La prova di coraggio è la grande sfida, perché in fondo l’adolescente gioca con sé stesso, avverte un bisogno impellente di conquistare ciò che non ha, di diventare ciò che non è, di sentirsi altro da sé e scherzando con le emozioni estreme, rischia la vita ricercando continuativamente lo straordinario, l’avventura, la libertà, la novità. Il giovane somiglia così a una farfalla che deve rompere la prigione della crisalide ma senza sapere verso dove volerà.

Noi adulti, noi insegnanti, non riusciamo sempre ad accettare tutto questo.

Se solo i miei ragazzi potessero guardarsi con gli occhi con cui io li guardo! Ce ne sono tanti in gamba, ricchi di umanità, competenze, valore. Sono belli questi ragazzi, bellissimi ed esistono. I ragazzi come Julian esistono e dovremmo conoscerli “prima”, non solo piangerli dopo. Dovremmo valorizzarli, gratificarne i progetti, sostenerli, farli sentire importanti perché loro sono importanti. Guardiamoci sinceramente allo specchio e siamo onesti per una volta noi boriosi adulti, compresi quelli di noi che si ritengono intellettualmente aperti e politicamente impegnati. Noi, che li rimproveriamo facendo la morale su cose che per primi facciamo e che loro hanno spesso già superato, doppiandoci alla grande mentre neanche ce ne accorgiamo. Noi che non stacchiamo lo sguardo dal cellulare neanche se siamo a cena con chi amiamo o che ci facciamo i selfie come bimbi minchia. Loro sono meglio di noi. Molto meglio. Julian lo era, leggetelo qui cosa mi raccontava di sé solo qualche anno fa

j1https://ileanapastore.wordpress.com/2012/04/24/a-cosa-serve-lo-stage-in-azienda/

e non giudicate solo dalle apparenze o dai titoloni ad effetto dei giornali mostrandovi gretti, provinciali e cattivi mentre i ragazzi vi osservano.

Ormai non c’è altro da fare, non c’è altro da dire: tutto si è compiuto. A me resta la bellezza d’animo di chi ho perso, la sua intraprendenza, la sua sfrontatezza di fronte alle ingiustizie, il suo combattere su ogni fronte per migliorare e migliorarsi, la sua vivace intelligenza, la sua forte personalità, il suo sorriso, la sua voglia di vivere, la sua gioventù. Restano le domande irrisolte che non trovano risposte a certe morti. Restano i suoi compagni di classe, intontiti, muti, rassegnati a qualcosa che non vogliono neanche più capire perché ormai va solo superata per poter andare avanti. Resta il ricordo, indelebile, per sempre e la necessità di scrivere qualcosa qui, attraverso l’uso di un freddo computer, per poter esprimere un ultimo saluto pieno di affetto e calore.

 

P.S. Il funerale di Julian si terrà lunedì 14 gennaio alle ore 15.30 in Via Vivaldi 1, Scandicci.

 

vasco

Ho ricevuto questo incredibile regalo per Natale e come successo alla mia collega Antonella Landi, subito mi viene in mente …

“COLPA DI ALFREDO

Lo vedo risucchiato dal vuoto del nulla: l’occhio perso tra pensieri che niente hanno a che spartire con il compito scritto che dovrebbe svolgere.

“O bello, sveglia!” gli urlo.

“Scusi Profe, mi son distratto un attimo.”

“Colpa d’Alfredo.”

“Alfredo chi?!”

“No, dico: tu non hai detto mi son distratto un attimo ?”

“Sì.”

“E io ti dico colpa d’Alfredo!”

“Profe, sta bene? Ma cosa dice?”

“Non oserai dirmi che non hai capito!”

“Capito cosa?!”

“La mia citazione colta!”

“Citazione? Che citazione?!”

“Colpa d’Alfredo!”

“Ma chi l’è codest’Alfredo?!”

“Non lo hai mai sentito nominare?”

“Io no. Ragazzi, voi?”

“Noi?! Per nulla. Ma icché la c’ha stamani Profe?”

C’ho che quest’ignoranza abissale non la sopporto proprio!”

P.S. Io vado! Con l’entusiasmo dei miei passati 20 anni, con la nostalgia di tanti ricordi, con la curiosità di sperimentare nuove sensazioni, con la voglia di ascoltare e farmi avvolgere e travolgere dalla musica. Grazie. Grazie e Buone Feste a tutti.

Ieri sono finiti i lavori della commissione in cui ero stata nominata membro esterno. Stamani, curiosa e impaziente di avere notizie in tempo reale, ho deciso di passare dalla mia scuola per vedere come se la stavano cavando “i miei “.

Fanno così i professori quelli grulli, quelli che ci credono, quelli che ai loro alunni si affezionano e si preoccupano di come stanno, di cosa fanno: li indicano così, con il pronome possessivo “i miei”, come se appartenessero loro in qualche modo, come se nove messi passati insieme, simboleggiassero una sorta di gravidanza immaginaria mai avvenuta ma presente.

Tutto questo non sta scritto nel contratto di lavoro, non c’è un obbligo istituzionale, nessuno viene pagato per assistere, incoraggiare, supportare ma stamani, di grulle, ne ho incrociate almeno altre due oltre a me, preoccupate, partecipi, ansiose.

All’ingresso ho subito incontrato Mirko, sorridente, rilassato, con gli occhi ancora più azzurri e lucenti della camicia che indossava. Aveva appena finito la prova orale e subito mi ha messo a conoscenza del fatto che era andato tutto bene a parte italiano: “Profe, mi ha chiesto il secondo capitolo dei Promessi Sposi! Io non lo sapevo cavolo!” Va bene, non importa, ormai è andata, non ci pensare più. Sono convinta che se lo ricorderà per tutta la vita.

Quando sono entrata nell’aula, mi ha accolto la musica dell’amplificatore audio di Michele. Stava appunto mostrando il lavoro svolto, alla commissione che, coinvolta e divertita, batteva con le dita il tempo sul tavolo e scuoteva la testa a ritmo di musica. Il ghiaccio s’era rotto, lui sembrava tranquillo e padrone della situazione che apparentemente teneva sotto controllo. “Profe ma lei ha sentito tutta la mia interrogazione?” – mi ha chiesto alla fine – “Come sono andato?” Bene sei andato ma che fatica disegnare quel diagramma di Nyquist eh? Due poli reali, roba da ragazzi, c’è mancato poco che mi alzassi e te lo venissi a disegnare io!

Lorenzo, l’ormai famoso carabiniere, sudava. Era già madido prima di cominciare. Era talmente ansioso che nell’esporre la sua tesina sull’azionamento di un passaggio a livello al passaggio del treno, aveva posizionato il treno dopo i sensori, sì insomma, il treno era già passato così come, metaforicamente, voleva che passasse al più presto anche quel momento. Che domanda avrebbe fatto qualsiasi docente di italiano? Pirandello: Il treno ha fischiato. Mi sembra ovvio!

Gianluca aveva al seguito babbo e fidanzata. Faceva il forte, non aveva paura di nulla, apparentemente. Prima di entrare ha statisticamente azzeccato tutte le domande che avrebbero potuto fargli, spuntandole una dopo l’altra come si faceva da bambini con le figurine: “Celo, celo, celo … manca (me la riguardo)” per poi rimanere impressionato e inebetito quando i commissari le hanno effettivamente pronunciate. Il panico che lo ha sopraffatto è stato palesemente evidenziato quando, non venendogli la parola “noise”, l’ha maccheronicamente sostituita con un più onomatopeico “rumor”.

C’era una ragazza che accompagnava l’altro Lorenzo, il chitarrista del gruppo musicale della scuola. Sul momento ho creduto che fosse la sua ragazza ma la guardavo e la cosa non mi convinceva. Si assomigliavano troppo nei modi, nel sorriso, nella compostezza, nell’eleganza e nella timidezza. Troppo simili, troppo uguali. Dopo tre anni di vita insieme ti accorgi che non le sai proprio tutte, specie se non te le hanno mai raccontate. No, non lo sapevo che avesse una sorella come credo di non sapere un’altra infinità di cose su di lui. Non importa se quest’aspetto relazionale è stato volontariamente omesso, lui è il più bravo della classe, lo è sempre stato. Ha fatto un bellissimo esame orale. E’ questo che conta.

Quando in terza, il caso volle, che capitasse nella mia classe, lo riconobbi subito.

Suo malgrado, era già noto e conosciuto da tutti nella scuola per la sua passione di voler appartenere, da grande, alla “Beneamata Arma”.

Si è sempre distinto per galanteria e premura, per attenzioni e rispettose gentilezze tanto che, a confronto con i suoi coetanei,  pareva sceso da un altro pianeta o spuntato in avanti da un tempo passato. Negli atteggiamenti, nei modi e nel lessico utilizzato da quel ragazzone sempre sorridente e a cui piaceva vestirsi con impeccabili camicie perfettamente stirate invece delle più gettonate felpe con il cappuccio, si percepiva un senso di intenzionale “retrò” che non ha mai smesso di meravigliarmi.

Non venendo mai a mancare di rispetto e non esondando mai dagli argini delle ottime maniere, costui riusciva puntualmente a risultare simpatico, amabile, divertente e spiritoso non solo a me ma anche ai compagni, che pure nello spirito irriverente degli adolescenti, lo infamavano in continuazione, sia per la sua passione che per i suoi abbigliamenti, in quel gioco di ruoli a cui, divertiti, ci si abbandona a quell’età.

Al di là di tutto, tuttavia, è sempre risultato tangibile il rispetto, l’affetto e l’ammirazione che i più avevano nei suoi riguardi tanto che la nomina a rappresentante di classe fu svolta da lui con estrema serietà e professionalità quasi a ricambiare la fiducia ottenuta.

Il suo sogno, dopo l’esame di maturità, sarà quello di smettere quanto prima i panni del perito elettronico ed indossare dei pantaloni con delle strisce rosse sui lati e un cappello con la mitica granata infiammata centrata sulla fronte che, a suo dire, affascinerà le fanciulle più del camice bianco del tecnico di laboratorio.

Mi ha promesso che appena vincerà il concorso e gli sarà concessa la divisa di ordinanza, tornerà a scuola per mostrarsi così, pieno di orgoglio, in tutto il suo splendore.

Nei secoli fedele.

carabiniere

 

E’ bellissimo, molto meglio dell’originale! Grazie, sono felicissima!

 

Ogni ritratto dipinto con passione è il ritratto dell’artista, e non del modello. [O.Wilde]

 

Hai solo tre possibilità per evitare la bocciatura:

1) Il buco dell’ozono si allarga e ci stermina tutti

2) Una meteorite gigante attraversa il buco dell’ ozono e si schianta contro la casa di Martinelli

3) Studia che è meglio

(Tratto dall’omonimo film)

Lei, unica femmina in una classe di maschi. Bionda, occhi celesti, non una vamp, delicata, eterea. Tutto le si può dire fuori che manca di femminilità. Timida quanto basta ma decisa, coraggiosa. Adolescente, come i suoi compagni, in cerca di sicurezza, di appoggio, di sostegno. Dibattuta fra il giusto e lo sbagliato, fra il vero e il falso, il bene e il male, fra l’amicizia e la sopravvivenza. Matura più dei suoi coetanei, ha sufficiente coscienza di sé, dei suoi limiti e dei suoi difetti. Si mette in discussione e cerca di migliorarsi, non si sente certo “arrivata”. Attraversa ora un momento di crisi non sentendosi più accettata dai suoi pari solo perché, nel cercare di incitarli allo studio, si è tirata addosso le loro critiche: “Fatti i cavoli tuoi! Pensa per te!”

Loro, i maschi, ostentano sicurezza e controllo della situazione. Sono tanti, sono tutti, sono un gruppo. Ribelli e polemici come si può essere nei confronti di un genitore, non accettano lezioni da lei. La considerano una “saputella” che si vuol fare bella agli occhi dei professori. Non vogliono essere comandati (da una donna poi …), non vogliono che gli si facciano appunti; loro se la sanno cavare per conto proprio sono grandi! La tecnica usata, per farle capire che non erano disposti a subire lezioni di morale, è stata quella di isolarla, di parlarle alle spalle, di non dialogare con lei per chiarirsi, di prenderla in giro deridendola. Intenti ad affermare il loro status, cercando di difendere l’onore offeso, provando a ristabilire i giusti ruoli e le rispettive competenze non hanno considerato una cosa importante.

Lei ha chiesto scusa, con la voce tremolante a causa di un pianto ingoiato e non manifestato. Lei ha riconosciuto che poteva essere stata fraintesa: quello che aveva detto non era certo stato affermato per screditare gli amici ma perché le era sembrato l’unico modo per scuoterli. Uno solo di loro ha avuto lo stesso coraggio di lei chiedendole vicendevolmente scusa a nome di tutti i suoi compagni.

Poi in classe è calato il silenzio e io ho ripreso la lezione senza proferire verbo.

Cosa ho capito da tutta questa storia? Lei si preoccupa per loro, lei arriva anche a piangere per loro, lei vuole a loro un sacco di bene e i maschi, come al solito, non riescono mai a riconoscerlo il bene, nemmeno quando è così palese.

SENZA PAROLE … 😀

(Sono in pochi quelli che sanno a chi è dedicata, vero 5° AELT?)

“Profe, ogni tanto entri in calsse con un sorriso però 😦 “

“Sapessi quanto mi piacerebbe… nelle altre mie tre classi mi riesce, anzi mi viene spontaneo; perchè con voi non più? Che vi succede?”

“Profe, gliel’ho mai detto che lei è speciale? Dove gli altri falliscono lei riesce! Si impegni, vedrà, ci riuscirà”

“Mica sempre ci riesco purtroppo, anche se ci provo imperterrita”

“Si mostri forte e saremo come bimbi davanti ad una bella storia; lo studio è come un sorriso.. una volta che ti ci abitui viene tutto spontaneo”

Santo subito!

Sarà per la “giovane età” (purtroppo o per fortuna, in Italia, intorno ai 40 anni si è ancora considerati tali), sarà per la mia “apertura mentale” (non so se è proprio un complimento quando mi sento dire: “Te, non sembri per nulla un ingegnere!”), sarà per la mia continua ricerca di empatia nei confronti dei miei alunni, sarà perché mi piace ascoltarli, sarà perché quando mi cercano, mi trovano sempre, sarà che mi interessa che crescano non solo professionalmente ma anche come persone, sarà che proprio non ce la faccio a non dargli confidenza, sarà perché sono sempre serena e sorridente o perché magari fra tutti gli insegnanti sono quella che ispira epidermicamente più fiducia … insomma, fatto sta che tutti i miei studenti sentono l’impellente necessità di venire sempre a raccontare tutto a me.

Ho provato a far loro presente che non è necessario che io sappia sempre tutto, che a volte possono anche evitare di fare dei nomi o di riferirmi ogni singolo dettaglio, ma la cosa non sembra rilevante ai loro occhi.

Ancora oggi, dopo circa un mese di scuola con le ore obbligatoriamente di 60 minuti come da direttive ministeriali, le mie lezioni si concludono, di default, dopo solo 50 minuti. Anche “l’orologio scolastico” dei miei studenti sembra ancora settato con la vecchia campanella tanto che, fino a quando tutti non ci abitueremo al nuovo standard orario, ci avanzano 10 minuti. Abbiamo avuto così modo di parlare di occupazione, di proteste più o meno legali, ci siamo scambiati pareri sulle possibili forme di lotta, sul cosa significa avere degli ideali, abbiamo criticato o appoggiato i vari candidati per il Consiglio d’Istituto, mi hanno espresso le loro perplessità sulle difficoltà che trovano nello svolgimento degli esercizi di matematica, mi hanno raccontato di come hanno messo fuori uso il computer del babbo o degli sport che praticano, hanno spettegolato sui vari insegnanti mettendone in risalto difetti o enfatizzando particolari caratteristiche… no, di ragazze ancora non mi hanno detto molto; sono maschi, ancora non tutti pensano a queste cose ma ci vorrà poco.

Altro che CIC (Centri di Informazione e Consulenza costituiti con DPR del 9/10/1990 n° 309 all’interno delle scuole secondarie superiori), io alla fine aprirò un chiosco come questo qui!

Quelli che il lunedì mattina ancora dormono sul banco

Quelli che invece alla prima ora già ti tartassano di domande e te in classe non sei ancora entrata

Quelli che ci si mette d’accordo per i volontari? Benissimo ma io per ultimo

Quelli che fanno forca alle interrogazioni programmate con la scusa che si sentono male

Quelli che sarebbe bello si sentissero male quando c’è la gita

Quelli che nel banco per sei ore non ce li tieni nemmeno legati

Quelli che se sono presenti te ne accorgi solo alla fine dell’ora

Quelli che non hanno fatto i compiti perché hanno dimenticato il quaderno a casa

Quelli che non hanno fatto i compiti perché hanno dimenticato il libro a scuola

Quelli che i compiti li fanno e molti molti di più di quelli che gli hai assegnato

Quelli che i compiti si correggono in classe

Quelli che mentre te correggi i compiti per casa fanno gli esercizi assegnati dal professore dell’ora dopo

Quelli che non smettono un attimo di parlare

Quelli a cui è necessario tirare fuori le parole con le pinze

Quelli che: “Profe, oggi mica andiamo in laboratorio vero?”

Quelli che: “Profe, perché oggi non andiamo in laboratorio?”

Quelli che non riescono a studiare perché sono innamorati

Quelli che studiano di più per dimostrare alla fidanzatina che sono più bravi di lei

Quelli che: “Profe, non mi interroghi oggi, la prego”

Quelli che: “Profe, posso venire alla lavagna anche oggi?”

Quelli che hanno un quaderno per materia o un unico quadernone pieno di inserti divisori

Quelli che hanno un quaderno solo e lo usano a turno per le varie materie

Quelli che la mamma gli ha comprato una paccata di quaderni al supermercato ma che hanno tutti la stessa copertina e quindi non si distinguono

Quelli che nell’astuccio non hanno nemmeno una penna

Quelli che nemmeno hanno la penna, figuriamoci l’astuccio

Quelli che hanno nell’astuccio cinque penne, tre matite, due appunta lapis, qualche tappino smangiucchiato, graffette, puntine, quattro evidenziatori, un pacchetto di gomme da masticare, una lametta, qualche vecchio bigliettino di compiti passati, una calcolatrice, un pezzo di merenda, uno stick di colla, la chiavetta usb, il rotolino dello scotch, le forbici, un cacciavite a stella, una matassina di stagno da saldatura…

Quelli che sanno sempre tutto

Quelli che non sanno mai nulla

Quelli che guardano fuori dalla finestra

Quelli che si abbracciano al termosifone perché fa freddo

Quelli che si appoggiano al muro e girano la testa come l’esorcista per poter guardare la lavagna

Quelli che non guardano in faccia a nessuno

Quelli che sono predestinati a fare la lista dei panini

Quelli che vanno in ansia

Quelli che mettono ansia

Quelli che il look è tutto perché “noi valiamo”

Quelli che si svegliano mezz’ora prima perché si devono piastrare i capelli

Quelli che non reputano antiestetico venire a scuola in bermuda ed infradito

Quelli che: “Profe, ho caldo, apriamo la finestra?”

Quelli che: “Profe ma è freddo, perché ha aperto la finestra?”

Quelli che: “Profe, almeno apriamo la porta!”

Quelli che non possono uscire alla prima ora

Quelli che devono uscire alla prima ora altrimenti te la fanno lì

Quelli che hanno mani e polsi tatuati di appunti che sembrano degli sciamani woodoo

Quelli che copiano con i bigliettini

Quelli che copiano scrivendo tutto sul banco all’ora prima

Quelli che hanno sempre la felpa con i tasconi e i pizzini dentro anche alla fine di maggio

Quelli che in genere non copiano e una volta che lo fanno li becca la prof.

Quelli che hanno messo su un’attività commerciale per disegni, compiti a casa, masterizzazioni cd e dvd su ordinazione

Quelli che alla prima bischerata ridono tutti

Quelli che stanno sulle palle a tutti, prof. compreso, ma mai che ci fosse qualcuno che glielo fa notare

Quelli omertosi che neanche il Padrino di Coppola

Quelli che raccontano tutto anche quello che non vorresti sapere

Quelli che mangiano durante la lezione nascondendosi sotto il banco per addentare il panino con la scusa che sia caduta una cosa per terra

Quelli che bevono durante la lezione con la stessa tecnica ma smascherati dal risucchio della cannuccia

Quelli che cantano mentre lavorano in laboratorio

Quelli che fischiano mentre lavorano in laboratorio

Quelli che tentano di nascondere le cuffiette dell’ I’pod sotto i capelli durante la lezione

Quelli che i capelli li hanno talmente rasati che non è possibile ascoltare musica

Quelli che si ritengono geni incompresi

Quelli che sono incompresi e basta

Quelli che anche se la campanella suona alle 8:10, arrivano non prima delle 8:20 tutte le mattine

Quelli che a scuola arrivano in tempo ma il cervello è ancora sul marciapiede che aspetta l’autobus

Quelli che arrivano in autobus ma hanno il casco in mano per racimolare un eventuale passaggio di ritorno

Quelli che magari non hanno il posto per scrivere sul banco ma il casco della moto deve stare lì comodo

Quelli che magari il casco te lo appoggiano sulla cattedra perché sul banco non c’è posto

Quelli che ti guardano preoccupatissimi se durante la spiegazione, gesticolando, sfiori “l’altarino” con il casco appoggiato sopra

Quelli che: “Profe, domani non vengo a scuola, ho gli esami del sangue”

Quelli che “Profe, domani non vengo a scuola, ho l’esame della patente”

Quelli che si vergognano di tornare a scuola se sono stati bocciati all’esame di guida pratica

Quelli che con tutte le arie che si danno, l’aula è sempre ben ossigenata

Quelli che i poeti maledetti gli fanno un baffo

Quelli che io non copio mai

Quelli che mi fai copiare?

Quelli che non ti faccio copiare perchè no!

Quelli che allora sei stronzo se non mi fai copiare

Quelli che hanno fatto copiare ma hanno preso 6 mentre l’altro ha preso 8

Quelli che viva la Fiorentina

Quelli che Juve merda

Quelli che viva il duce

Quelli che hasta la victoria siempre!

Quelli che viva la fi…!

Quelli che contrattano il voto

Quelli che vorrebbero comprare il voto

Quelli che il voto non lo vogliono

Quelli che discutono sempre il voto

Quelli che piangono per un 4

Quelli che piangono per un 7

Quelli che ma cosa piangi?

Quelli che m’importa una sega…

Quelli che: “Profe, vuole un caffè?”

Quelli che: “Profe non ho spiccioli, mi offre un caffè?”

Quelli che hanno più piercing che brufoli

Quelli che sono nel periodo dark

Quelli che sono nel periodo emo

Quelli che vai a capire in che periodo stanno

Quelli che non hanno idea di che faranno nella vita

Quelli che cosa faranno l’ha deciso il babbo

Quelli che … io ho sbagliato scuola

Quelli che… non vedo l’ora di uscire di qua

Quelli che… cavolo, fra poco è finata la scuola e ora?

Quelli che in fondo a scuola ci stavano bene

Quelli che: “Profe, non lo dica a mia madre”

Quelli che allora lo dico a mia madre!

Quelli che chiunque vorrebbe come compagno di banco

Quelli che vicino a lui??? Neanche morto!

Quelli che evvai, c’è l’ora di ginnastica!

Quelli che oh, cazzo, c’è ginnastica posso stare in classe a ripassare telecomunicazioni?

Quelli che hanno l’orologio sincronizzato al secondo con la campanella

Quelli che l’orologio non ce l’hanno perché tanto hanno il telefono

Quelli che sembra prendano appunti ma scrivono bigliettini d’amore

Quelli che sembra prendano appunti ma giocano a tris/impiccato/battaglia navale/forza 4

Quelli che prendono sempre appunti

Quelli che mi passeresti i tuoi appunti?

Quelli che hanno sempre il libro

Quelli che il libro non si capisce perché lo abbiano comprato se deve stare a casa sempre

Quelli che il libro ce l’hanno nuovo, mai usato

Quelli che scrivono solo in stampatello

Quelli che scrivono in geroglifico

Quelli che: “Profe, me lo rispiega che non ho capito?”

Quelli che uff… sempre le solite cose

Quelli che odiano tutti i prof.

Quelli che:… “Profe, TVB”

 

“Profe, le farebbe piacere venire a vederci? Abbiamo messo in scena un Musical”.

Certo che vengo!

Ieri sera l’ennesima replica. Carini, divertenti, bravi, intonati. Rispetto a qualche anno fa, hanno “fatto carriera”; sono state assegnate loro parti più importanti, ormai sono cresciuti!

Se la sono cavata alla grande. Alla fine dello spettacolo sono venuti a salutare e a prendersi i complimenti del pubblico.

“Sa una cosa Profe? Se non fosse per tutto questo trucco che ci hanno messo sulla faccia, sarebbe perfetto, ci pizzica ovunque!”

Eh! Questo strano mondo dello spettacolo!

 

 

Grazie a tutti voi giovani del mondo,

grazie per l’amicizia e per l’amore,

per la gioia e la forza che ogni giorno mi date.  

 

Voi siete le sentinelle del mattino

voi siete il sale della terra

voi siete la luce del mondo

voi siete il popolo delle Beatitudini 

 

 “Ho vissuto in prima persona la seconda guerra mondiale

e sono sopravvissuto alla seconda guerra

per questo ho il dovere di ricordare a tutti i più giovani

a tutti quelli che non hanno avuto questa esperienza

ho il dovere di dire, mai più la guerra.

Sappiamo tutti che non è possibile dire pace a ogni costo

ma sappiamo tutti quanto è grande

grandissima la nostra responsabilità”  – Giovanni Paolo II (Angelus 16.3.2003)

 

http://oragiovani.parrocchiesancasciano.org/

 

Ai giorni nostri, dove le neo divinità sono i calciatori e le veline, è cosa comune sentirsi chiedere dalla maggior parte dei nostri studenti:“ Profe, ma perché dobbiamo studiare? A cosa ci serve?”.

 

La risposta non è certamente immediata dato che come mi hanno fatto notare oggi, i giovani con i titoli di studio più elevati sono sistematicamente derubati sia del giusto salario sia della giusta dignità.

 

È lampante la scarsa considerazione sociale attribuita ai giovani laureati, bramosi di conoscenza, amanti della lettura e della scoperta, com’ è cosa certa che costoro vengano generalmente poco valorizzati dalla massa, quella massa composta da persone che non hanno mai letto un libro nella loro vita e che trascorrono le serate allietandosi con programmi televisivi demenziali.

È altresì evidente che individui ignoranti fino al midollo si arrogano il diritto di giudicare con uno sfacciato senso di superiorità tutti e tutto, di sparare sentenze e di sentirsi delle piccole divinità in terra a cui tutto è dovuto e per cui la gentilezza e la disponibilità che caratterizzano i nostri giovani più istruiti è cosa da deridere.

 

Attenzione, la colpa non consiste nella mancanza d’istruzione ma nella presunzione che porta a non riconoscere i propri limiti e non accettare la superiorità altrui (in termini di conoscenza).

 

Dunque perché studiare? Sicuramente non per il prestigio sociale, appannaggio di donnine sculettanti, adulti che rincorrono un pallone e semicriminali alla ribalta della cronaca, e sicuramente non per il denaro. I giovani laureati sotto i trentacinque anni hanno stipendi semplicemente ridicoli.

 

Allora perché? Esiste, in conclusione, un motivo razionale per impegnarsi oggi nello studio?

 

Ebbene, secondo me, avere un certo grado di cultura e di conoscenza serve per non essere degli assoluti idioti in balia degli eventi, per dare un senso reale alla vita, per saper distinguere il giusto dall’errore, il saggio dal ciarlatano, il vero dalla menzogna, per vivere nel rispetto di se stessi e degli altri e soprattutto per cercare in qualsivoglia modo di contribuire alla società ed al progredire di essa. La conoscenza è un’arma, là fuori è una giungla, più saprete e più possibilità avrete di difendervi, innanzitutto capendo in tempo utile da chi vi conviene difendervi…e probabilmente vi toccherà difendervi da molte persone e da molte cose.

 

Sempre più spesso accade che per interesse personale o per mero tornaconto si nasconda, si mistifichi la realtà e la verità venga affossata, celata, offuscata per lasciare le menti nell’illusione e nell’ignoranza, per plasmare la società e piegarla ad una particolare volontà. La cultura, invece, rende liberi.

 

La conoscenza non darà sicuramente fama, auto sportive o ricchezza ma offrirà sempre la preziosissima capacità di vedere il nulla che c’è dietro l’ostentazione e la vanagloria. 

 

Dedico questo post a tutti coloro (e purtroppo sono molti) che pur non sapendo di cosa parlano, parlano comunque; a quelle persone “eleganti” solo negli abiti ma che ostentano ignoranza e trasudano qualunquismo, a quelli che ripetono discorsi vuoti e stupidi che magari si sono fatti preconfezionare da altri, a tutti quelli che trattano con inutile sufficienza coloro che pretendono di insegnare in una società dove nessuno (o quasi) ritiene di aver qualcosa da imparare, che pretendono di educare in una società dove ognuno ritiene di avere a priori il monopolio dei diritti e dei valori, che pretendono di trasmettere cultura in una società dove più della cultura conta il culturismo, più del sapere: i muscoli, più dell’informazione critica: le veline. Una società in cui esisti solo se vai in tivù, dove puoi dire la tua, diventare "opinionista" anche (soprattutto?) se non sai nulla o se sei una "pupa ignorante", un “tronista” o un "amico", che legge solo i titoli di giornaletti gossip. Chiaramente dedico il tutto anche a quelli che mal sopportano chi pretende, magari per professione, di aver qualcosa da insegnare agli altri. Eccola dunque la futura società senza "studenti" che di conseguenza perché mai dovrebbe aver bisogno di docenti?

 

Attenti a quelli che vi illudono e vi ingannano facendovi credere che tutti possano diventare belli anche se non lo sono, possano diventare ricchi anche se sono poveri in canna, possano diventare atleti professionisti o cantanti – attori – ballerini anche se poi non hanno tutto quel talento che serve, possano conquistare il benessere (o qualcosa di più) studiando poco o addirittura senza bisogno di studiare troppo, tanto, “basta avere le giuste conoscenze” ma poi, le stesse persone, hanno l’ardire di parlarvi di meritocrazia! Uno su mille ce la fa (come diceva una famosa canzone) e gli altri? Questa è una società dove tutti sono appiattiti, schiacciati, uniformati verso il basso e dove solo pochi emergono. La scuola permette a tutti di avere la solita opportunità, è nata per questo; la cultura, il sapere, lo studio servono quindi a dare a tutti voi la stessa possibilità di emergere, una volta imparato, quello che avrete appreso non ve lo potrà togliere più nessuno, non sprecate la vera occasione della vita; non state giocando al superenalotto, qui se volete, vincete tutti.

 

Io ho un alunno che è il più bravo di tutti.

 

Io ho un alunno che pur di non mettere in difficoltà i compagni, non alza mai la mano per rispondere alle domande dei prof. anche quando le risposte le sa (e le sa quasi sempre).

 

Io ho un alunno che accetta sempre qualsiasi sfida, nello studio, nello sport, nella vita.

 

Io ho un alunno che oltre ad essere bravo a scuola è anche una bella persona.

 

Io ho un alunno che aiuta sempre gli amici e non fa pesare a nessuno il suo sapere.

 

Io ho un alunno che mi guarda sempre con occhi vispi e intelligenti da dietro i suoi occhiali e che capisce al volo cosa penso quando i nostri sguardi si incrociano.

 

Io ho un alunno che si nasconde dietro la maschera della timidezza e della riservatezza non permettendo a nessuno di creare facilmente un contatto.

 

Io ho un alunno che sa capire quando è il momento di essere seri e quando è il momento di scherzare senza mai andare oltre, senza mai passare il limite.

 

Io ho un alunno che sembra sempre sereno e sembra sempre avere la situazione sotto controllo.

 

Io ho un alunno che pensa, riflette ed elabora anche dopo che la campanella è suonata e la mia ora di lezione è finita.

 

Io ho un alunno di cui, nonostante la giovane età, ci si può fidare e non delude mai le aspettative.

 

Io ho un alunno da cui pretendo ogni volta di più, che torchio e riprendo, a cui non faccio sconti lasciandomi ammaliare da un positivo “effetto Pigmalione” perché so che può darmi tutto quello che chiedo e puntualmente me lo dà.

 

Io ho un alunno che è soprattutto una persona umile e responsabile, seria ed affidabile, intelligente e studiosa, pacata e serena, timida e riservata, tenace e determinata, leale e corretta.

 

Io ho un alunno che ha il difetto di non lasciar trasparire le sue emozioni, che ha paura a lasciarsi andare, che preferisce tenersi forse tutto troppo dentro, che non si apre ai sentimenti ed è scostante nelle manifestazioni di affetto ma che arrossisce e sorride quando gli si fa un complimento.

 

 

“Fatto?”

 

“Cosa?”

 

“Venduta? La moto,… la moto. E’ da giorni che non pensi ad altro!”

 

“Non ancora profe”

 

“… e come ti senti?”

 

“Non è ganzo”

 

“Allora perché lo fai?”

 

“Perché tanti soldi così non me li darebbe più nessuno se lasciassi ancora passare del tempo”

 

“Ho capito; il tutto succederà oggi pomeriggio?”

 

“Sì Triste, poi le racconterò”

 

“Smettila di torturarti continuando a guardare quelle foto!”

 

“Sono così belle, è la mia moto”

 

“Sì, è vero ma… è una cosa, certo, a cui sei molto affezionato, ma sempre una cosa. La venderai, d’accordo, domani non ce l’avrai più ma vendi l’oggetto non i ricordi, non le emozioni, non le sensazioni … quelle non si vendono, saranno tue per sempre, fanno parte di te”

 

“Proverò a vederla così…”

 

Il guerriero gode fino in fondo ciò che ha ma non ne è schiavo.

 

 

“Sapete ragazzi sono stata a teatro con la prof d’italiano a vedere Neri Marcorè e Luca Barbarossa, troppo carino!”

 

"Come? Non ci avete detto nulla?”

 

“Non credevamo vi interessasse… e poi il biglietto un po’ costava”

 

“Certo che ci portate con voi solo a vedere cose pese! Se c’è da divertirsi mai!”

 

“Mi dispiace, non ci avevamo pensato… comunque stasera andiamo a vedere suonare il gruppo musicale della scuola. Si esibiscono mentre il pubblico cena….che ne dite di una pizza?”

 

“Si, mh, potrebbe essere, le faremo sapere”

 

Non è venuto nessuno.

 

Dopo inviti ripetuti, dopo mesi di tira e molla, dopo aneddoti raccontati e appuntamenti rimandati, dopo lo spettacolo teatrale sui bombardamenti a Firenze del ’44, siamo approdati al pub più gettonato del momento.

 

“Profe, quelle quattro ragazze laggiù riusciamo a convincerle a venire con noi forse solo se diciamo loro che ci siete anche lei e la professoressa di italiano, magari così non si spaventano visto che noi siamo tutti maschi!”.

 

Una folla assurda di ragazzi più o meno ventenni affollava l’ingresso del locale al nostro arrivo. Macchine parcheggiate ovunque. Anche lo spiazzo aperto che anti stava, quello che ai miei tempi era un semplice chiosco, pullulava di giovani con i bicchieri di birra in mano che, a gruppetti, chiacchieravano e ridevano.

“Mi raccomando!” esclamo prima di entrare “che nessuno si azzardi a chiamarci profe!”

“E come vi dobbiamo chiamare?” affermano loro sconcertati. “Non ci chiamate! D’accordo?”.

Ci siamo diretti al bar per prendere qualcosa e vedendo un tavolo libero, un po’ defilato in un angolo, io e la mia collega ci siamo accomodate.

“Va bè,  ormai ci hanno lasciato qui” annuncia lei. “No, tranquilla, appena vedono dove ci siamo sedute, vedrai che si avvicinano”.

 

Li abbiamo visti cercarci per tutto il locale non capendo se davvero volevano trovarci, poi, appena ci hanno individuato, ce li siamo ritrovati tutti intorno a parlare, a ridere, a scherzare, a raccontare ognuno qualcosa di sé.

Ad un certo punto, rivolgendosi a me in modo da non farsi sentire, la prof. di italiano mi ha detto: “Ma… non è che abbiamo esagerato? Non è che forse è solo alla fine dell’anno che si deve arrivare a questo?”

“…forse “ rispondo io “ma a noi è successo adesso, cosa possiamo fare ormai? Ci tenevano tanto che venissimo, già dallo scorso anno e abbiamo provato a rimandare. Se avessimo detto loro di no, ci sarebbero rimasti male. Dai, sono grandi, non ci deluderanno, del resto stiamo facendo le prove per accompagnarli in gita no?”

Abbiamo passato una splendida serata, ci siamo divertiti, io sto bene insieme a loro… hanno detto che lo rifaremo.

 

P.S. Il reciproco amore fra chi apprende e chi insegna è il primo e più importante gradino verso la conoscenza.

Stamani sul mio terrazzo ho trovato un piccolo animaletto di peluche con due grandi occhioni celesti.
Intorno al collo aveva un nastrino rosso con una lettera per me.
 
"…Profe, ho saputo che in questi giorni non sta molto bene e mi dispiace. Allora voglio che per un po’, un mio amico venga a stare da lei….mi appartiene da quando avevo tre anni…….spero che le possa tenere compagnia, poi quando starà meglio, lo verrò io a riprendere…..
CIAO, TVB"
 
Anche io ti voglio bene, ti aspetto presto.
"Profe, lo sa cosa ho regalato alla mi’ ragazza pei 100 giorni?"
 
"Quali 100 giorni?"
 
"Si profe, è da 100 giorni che si sta insieme!"
 
"Ah…..capisco, un sacchetto di sale? Un voto scritto sulla sabbia?"
 
"No profe, no…. le ho regalato una foto enorme di me e lei insieme, c’ha presente quella che ho su msn? …..Certo che però così mi distrugge tutta la poesia!"

Mentre esco dalla doccia con indosso l’accappatoio a mo’ di "GEDI", squilla il telefono. E’ chiaro, nei giorni di festa gli auguri ce li scambiamo proprio tutti.

Con sorpresa leggo sul display del telefonino (nuovo di pacca) il suo nome…….eccolo, lo aspettavo, un alunno che ho avuto in classe per due anni all’inizio della mia carriera scolastica.

Persona molto riservata e discreta, rispettoso, educazione eccellente, determinato nel raggiungimento degli obiettivi (anche se forse la scuola da lui scelta non era del tutto affine alle sue caratteristiche), caratterialmente impenetrabile all’apparenza, chiuso, sulle sue, insomma poca confidenza e distanza di sicurezza mantenuta alla perfezione.

Poi la svolta. L’anno seguente io non sarei stata più la sua insegnante e lui non sarebbe stato più il mio alunno; arrivava un collega più anziano e io da brava "supplente precaria" dovevo cedere il posto. Nella lettera che scrissi alla classe per cercare di sedare gli animi rivoltosi, a lui dedicai la seguente frase: "Se un domani dovessi avere un figlio, lo vorrei proprio come te". Il ghiaccio si sciolse e le barriere furono abbattute. Da quel giorno lui non scorda un compleanno, non dimentica una ricorrenza, non fa passare liscia una festa senza farsi sentire anche se solo con un sms.

"Come stai?" gli ho chiesto subito. Mi ha detto che lavora in banca proprio qui vicino casa mia, che comunque è intenzionato a finire l’università (Economia e Commercio), che è andato a vivere da solo, che è sempre molto innamorato della sua ragazza e che frequenta ancora qualcuno dei compagni di quella ottima classe in cui siamo stati così bene.

Mi ha confessato che ripensa spesso a quando andavamo a scuola, rifletteva sul fatto che quando uno c’è dentro non si rende conto di quello che gli sta capitando, non apprezza la grande fortuna che ha fra le mani nè l’opportunità che la vita gli offre in quel momento.

Io lo ascoltavo contenta domandandomi: "…se tornassi indietro?…". Si, sceglierei di fare l’insegnante di nuovo, se non altro per ricevere auguri come questi.

E’ la domanda più difficile che si può porre ad un insegnante ma è la domanda che ognuno di noi prof. attende per anni.

 

Il sapere che comunque sei stata in qualche modo un personaggio di rilievo nella vita di ognuno dei tuoi studenti (nel bene o nel male) e la consapevolezza che comunque: “….si ricorderanno di te per sempre….” sono idee che balenano in testa per tanto tempo.

 

Cerchi di riempire le loro testoline mettendo dentro nozioni, raccomandazioni, consigli, trucchi e segreti. Il percorso fatto insieme a loro, pur difficile e tortuoso, ti appassiona e ti innamora. Giorni passati a ridere, a buttare là battute, scimmiottare imitazioni, a condividere esperienze, a studiare, ripassare, interrogare …. non si dimenticano.

Piano piano una sorta di complicità adulta comincia a farci avvicinare sempre di più, piano piano li senti sempre un po’ più tuoi e ti senti sempre un po’ più loro.

Li ascolti, li incoraggi, magari li metti in crisi, li fai piangere ma poi li consoli ma non li abbandoni mai né li dimentichi. Anche se non ne sono pienamente coscienti sai che hanno bisogno di te e te ci sei.

 

Quando alla fine li accompagni alla maturità, lasci loro le ultime raccomandazioni: “Non sprecate le vostre potenzialità solo per pigrizia, usate il vostro cervello, non vi stancate mai di conoscere cose nuove, imparate ad affrontare la vita con serenità e decisione. Studiate, andate all’università, paradossalmente la cultura è ciò che rimane quando si è dimenticato tutto quello che si è imparato….”.

Così come sei entrata in punta di piedi nella loro vita, così te ne vai.

 

Dopo qualche fuggevole visita l’anno dopo l’esame, "non si fanno più vedere". E il professore assomiglia al naufrago che ha affidato il suo "messaggio nella bottiglia" ai flutti; per lui ogni studente è una domanda in attesa di risposta; e in molti casi, la sua attesa resterà delusa. Però le eccezioni ci sono…..

 

Si è comunque contenti di saperli in giro per il mondo mentre portano nella zucca quelle tre cose che anche te hai contribuito ad insegnar loro mentre riflettono, nella loro, anche un po’ della tua luce.

 

Andrea, come sei cresciuto! E’ stato bello rivederti.



"Profe, ma un blog lei, quando lo apre?"
E allora, eccolo!
Qui si racconta cosa succede nelle mie classi, come il tutto venga vissuto da me, dai miei alunni e dai miei colleghi.
Non credo affatto che la "scuola vera" sia solo quella che sprezzantemente occupa le prime pagine dei giornali con alunni somari e maleducati, con insegnanti depressi e fannulloni, non è questa la verità! Voglio raccontare la mia.
Buona lettura a tutti.

CARPE DIEM

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