Insegnando si impara

Archive for giugno 2023

Ai tempi dell’esame “tecnologico” con i plichi telematici al posto delle buste di plastica con dentro le tracce del compito da aprire con le forbici davanti agli studenti e consegnati a scuola dai carabinieri, con i registri elettronici e i verbali che finiscono nel cervellone del Ministero, con le relazioni di PCTO digitali e le LIM per scrivere le mappe concettuali relative alla proposta di argomento per la prova orale, alla fine, leggendo l’ultimo verbale, si trova scritto:

«Si procede, poi, alla firma di tutti gli atti ed alla preparazione del plico che raccoglie … Il plico viene infine chiuso e su di esso vengono apposti n. ….. BOLLI DI CERALACCA, con impresso il timbro della scuola. Tutti i componenti della Commissione presenti appongono la propria firma sul plico che sarà consegnato per la custodia al dirigente scolastico».

Poteva la scuola cancellare di colpo sigilli e ceralacca? Certo che NO!

Quasi per magia, alla porta dell’aula dove ha sede la commissione esaminatrice, si presenta il delegato di turno del Dirigente Scolastico con una stecchetta di ceralacca rigorosamente rossa e un non meglio identificato “pentolino” per lo scioglimento della stessa.  

E’ questo per me il momento più odioso di tutto l’esame. Chi viene scelto per mettere a punto la procedura? Chi meglio di un ingegnere per realizzare un “troiaio” (come si dice in Toscana) di portata mondiale? Chi è l’unica che ha un accendino da poter usare per dar fuoco a tutto?

Tutte le volte e dico tutte, quello che succede è più o meno questo:

nessuna scuola ha a disposizione un fornellino per scaldare a bagnomaria la ceralacca (è vietato per problemi di sicurezza) quindi ci si può ustionare tranquillamente usando la fiamma viva dell’accendino direttamente sulla stecchetta di ceralacca per diversi minuti prima che si sciolga. L’operazione deve essere compiuta in un’unica volta dato che l’accendino, dopo un tale stress termico non si tiene più in mano una seconda volta, la stecchetta nel frattempo, sciogliendosi ad alta temperatura piglia fuoco sulla punta emanando un puzzo indicibile e colando fiamme incandescenti da per tutto: sui banchi, per terra o nel ciotolino metallico se va bene. Se va male, direttamente sulla carta da pacchi del plico che prende fuoco immediatamente. L’accendino è da buttare, almeno un paio di galle te le sei fatte sulle dita e la quantità di ceralacca che forse sei riuscita a sciogliere non è sufficiente per apporre il sigillo. A questo punto serve il timbro di metallo che andrebbe bagnato nell’acqua per non far rimanere la ceralacca attaccata ad esso e non sul plico. Ma il bicchierino d’acqua non c’è (a volte è capitato di dovere addirittura sputare sopra al timbro) se c’è è di plastica e se si riesce a non sciogliere il bicchierino e a far raffreddare la cera è veramente un miracolo.

Alla fine l’idea di aver scelto di apporre solo un timbro sul plico risulta vincente ma i segni della ceralacca sparsa dappertutto rimarranno per anni con somma gioia dei custodi che dovranno tentare di pulire senza riuscirci.

Quest’anno però fermamente ho convinto i miei colleghi di commissione a non usare questa ormai antica e obsoleta usanza. Abbiamo realizzato un “pacco” eccezionale, scotch su tutti i lati, timbri ad inchiostro su ogni piegatura, innumerevoli firme su tutti i lati per garantire una chiusura ermetica e spago a doppio giro per assicurarne il bloccaggio.

Missione compiuta: accendino salvo, nessuna ustione, scampato pericolo di incendio, banchi puliti e pacco consegnato confezionato meglio di un regalo di Natale.

Quest’anno sono stana nominata, come commissario esterno, all’Istituto Tecnico Tullio Buzzi.

La nascita di questa antichissima scuola risale al 1° ottobre del 1886 per iniziativa del Comune di Prato che la denominò: Regia Scuola per le Industrie Tessili e Tintorie.

In realtà solo nel 1927 all’Istituto Nazionale di Chimica Tintoria e Tessitura fu attribuito il nome Buzzi dedicandolo al ricordo di Tullio Buzzi che della scuola fu dapprima docente e poi direttore per trenta anni contribuendo in modo decisivo alla crescita dell’Istituto e del suo prestigio in sede nazionale.

Nel corso della sua storia la scuola ha assolto alla funzione di formare i quadri tecnici dell’industria locale, contribuendo in misura significativa allo sviluppo e all’evoluzione del comprensorio industriale di Prato.

Ciò che contraddistingue “il Buzzi” è soprattutto il forte legame con la città, con le sue istituzioni e con il suo tessuto produttivo. La scuola ha saputo costruirsi un’identità talmente consolidata da determinare una forte attrazione in ingresso e un attaccamento ancora più forte in uscita: si è orgogliosi di averlo frequentato e si mantiene con esso un rapporto duraturo, un legame affettivo e una grata riconoscenza per sempre.

Il legame viscerale che unisce gli allievi e gli ex allievi della scuola è rappresentato da uno storico club di ispirazione goliardica “Le Pagliette” di cui si respirano i profumi appeni arrivi all’Istituto al cui interno, dallo scorso anno, è stata addirittura inaugurata la nuova sede.

Un grande murales, realizzato con una vecchia foto in bianco e nero che ritrae tante persone comuni, è punteggiato da facce a colori di personaggi illustri ma ormai scomparsi, che hanno frequentato la scuola. C’è già anche Francesco Nuti! Pagliette con il nastro verde – nero tutto intorno alla calotta sono sparse in ogni angolo, bar compreso. Stendardi, cravattine verde – nero e divise di ordinanza, le vedi ovunque. Questa associazione goliardica è famosa in città anche per gli spettacoli teatrali e le riviste che ogni anno vengono proposte a teatro, per le mostre e il Museo del Tessuto, per gli auguri di inizio anno scolastico al sindaco con l’offerta di rose rosse, per manifestazioni, per raccolte di beneficenza e per le borse di studio.

Il Club delle Pagliette svolge infine la funzione di aggregare tutti i ragazzi che oltre a studiare hanno voglia di divertirsi in nome della goliardia. Famosi gli scherzi con le Tube del Liceo Scientifico “Copernico” e con la confraternita delle Bombette dell’Istituto per ragionieri “Dagomari”.

Tutte queste belle cose me le hanno raccontate i ragazzi della quinta che sto esaminando in questi giorni mentre aspettavamo l’arrivo delle tracce delle prove da parte del Ministero.

Quando ho chiesto se fosse possibile acquistare una Paglietta, con un sorriso analogo a quello che si rivolge ai bambini quando chiedono la luna, mi hanno fatto notare che non è possibile possederla se non si fa parte dell’associazione. Addirittura mi hanno sottolineato fermamente che neppure l’azienda che realizza per loro le Pagliette me l’avrebbe potuta vendere per opportune clausole sul contratto fatto con loro. Con non poco imbarazzo ma con estrema cortesia mi hanno anche fatto notare che io, in quanto femmina, non avrei neppure potuto ottenerne una anche se fossi stata una studentessa del Buzzi in quanto l’associazione è esclusivamente costituita da maschi. Le pagliette non sono in vendita neppure nei migliori negozi di cappelli del centro. Chi la possiede è sua per tutta la vita e anche se la eredita da qualche membro della famiglia non può comunque indossarla se non fa parte del club. Non volendomi arrendere ho infine chiesto se almeno ne potevo provare una un momento: “No, non si può!”

La collega di matematica, vedendomi avvilita, mi ha detto alla fine, in modo consolatorio, che avrei potuto acquistare una Tuba o una Bombetta … ma io quelle, non le voglio!

Questa poi, non me l’aspettavo davvero!

“Profe, lei parteciperebbe alla nostra cena di classe?”

“Certo! Perché no?”

“Davvero!? Lei non sarebbe una nostra insegnante… verrebbe sul serio?”

Loro, la 2°O, non sono “i miei ragazzi” (nell’accezione del termine con cui i docenti appellano gli alunni delle proprie classi) ma abbiamo lavorato insieme per tutto l’anno ad un progetto di laboratorio di elettronica nell’ambito dell’orientamento alla scelta della specializzazione del triennio.

No, le classi seconde la cena di classe non la fanno mai. Ci vuole un po’ di tempo per costruire un rapporto adulto fra docente e discente, i ruoli sono ben definiti, ognuno sa da che parte della cattedra deve stare e nessuno varca mai il confine.

Stavolta è stato diverso, loro sono stati altro. Carini, affettuosi, aperti, empatici. Lavorare insieme li ha fatti crescere molto, li ha fatti crescere prima.

Ci siamo “amati” dal primo momento che ci siamo visti. Ho imparato subito i loro nomi e so di loro quel poco o quel tanto che hanno deciso di raccontarmi confidandomelo in laboratorio, nei corridoi o fuori del cancello di scuola. Gli sono stata con il fiato sul collo e non solo perché studiassero l’elettronica ma perché se ne appassionassero e capissero dove, da grandi, volessero andare a parare o chi volessero diventare. Ho dato loro fastidio, li ho spronati e pungolati, li ho messi sotto pressione, li ho obbligatii a farsi domande, li ho mandati in crisi per aiutarli a capire, a crescere. Li ho rimproverati a brutto muso quando non stavano a sedere composti, quando erano pressappochisti, cialtroni e sguaiati, gli ho levato i telefonini per non farli distrarre e li ho tenuti d’occhio per tutto l’anno.

Alla fine lo hanno capito che mi stavano a cuore tutti, che mi interessavano tutti in pari misura. Ufficialmente non erano “quelli di classe mia” ma probabilmente aver condiviso un (brevissimo) tragitto di vita, forse ci ha iscritto misteriosamente ed involontariamente all’anagrafe di una speciale famiglia i cui intimi vincoli ci sono ignoti ma sono forti e tenaci.

Lo sanno: io e loro non siamo amici, per niente. Siamo, già ora, molto di più.

15 settembre 2023, stesso posto, stessa ora e stavolta stessa classe: 3° A elettronica ❤

Ca l’abbiamo fatta anche quest’anno! In realtà ce la facciamo sempre: loro con le interrogazioni e i recuperi dell’ultimo minuto, noi con i compiti da correggere ed archiviare.

Stamani gli scrutini in una scuola deserta. Soli, una ventina di professori e una manciata di custodi.

Loro non c’erano chiaramente, mancavano le urla nel corridoio, non c’era chi voleva andare a comprare la merenda già alle 8:30 della mattina, mancava il ritardatario di turno che si perde il primo quarto d’ora di lezione ogni giorno, neanche “un incappucciato” per tutta la scuola, nemmeno un cappellino calzato alla rovescia, non uno sguardo o un saluto di buongiorno, neanche una maglietta colorata o un incrocio di sguardi, nessun rimprovero, nessuna preoccupazione per il compito o l’interrogazione. Niente, niente di niente, non si sentiva nessuno e ho pensato: “Che scuola è se loro non ci sono?”

Dov’è chi mi porta sempre la borsa dei libri in laboratorio? Dov’è “l’eletto” che ha imparato a prendermi il caffè alla macchinetta senza lo zucchero? Dov’è quello che ha cambiato classe a febbraio ma me lo ritrovo nella mia aula a tutti i cambi dell’ora?  Dove sono quelli della 2°O che non sono una mia classe ma mi considerano come se io fossi una loro insegnante?

Allora è finito davvero quest’anno scolastico? Qui non c’è più nessuno.

Qualcosa però resta: resta la speranza, quella di rivederli tutti a settembre perché le quinte, per la prima volta, non mi sono toccate. Meno male, niente saluti come degli “addio”. Resta la sensazione bella delle vacanze, quelle che ancora ci ricordiamo tutti e che non ritorneranno più come quando andavamo a scuola. Restano anche le cene di classe, le foto di rito, le grigliate, il panettone a Natale mangiato a ricreazione tutti insieme, l’uovo di cioccolata per celebrare la Pasqua e i diciottesimi da festeggiare con le brioches al pistacchio ogni settimana.

Mi auguro davvero, alla fine, di aver fatto qualcosa di buono o almeno di non aver sbagliato troppo. Ho imparato tanto anche stavolta e tutto quello che ho dato mi è stato restituito almeno il doppio.

Buone vacanze ragazzi, ci si becca presto!



"Profe, ma un blog lei, quando lo apre?"
E allora, eccolo!
Qui si racconta cosa succede nelle mie classi, come il tutto venga vissuto da me, dai miei alunni e dai miei colleghi.
Non credo affatto che la "scuola vera" sia solo quella che sprezzantemente occupa le prime pagine dei giornali con alunni somari e maleducati, con insegnanti depressi e fannulloni, non è questa la verità! Voglio raccontare la mia.
Buona lettura a tutti.

CARPE DIEM

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